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Son qui, seduta al tavolino del chiosco del parco comunale. Il gestore, sebbene sia autunno inoltrato, vista la stagione mite e accondiscendente, ha deciso di correre il rischio di prolungare l’apertura per due gatti e tentare di far magari quattro soldi. Oltre a me e lui, però, non c’è anima viva. Oddio, per la verità un gatto c’è. Se ne sta lì bello sornione, mollemente svaccato sul muro di cinta, a sonnecchiare sotto la folta chioma di una pianta carica di cachi. È rosso di pelo, il gatto. Rosso si fa per dire. È arancione. Ecco, ora che ci penso, me la son sempre chiesta ‘sta cosa, io. Come mai del pelo e dei capelli si dica che son rossi quando, il più delle volte, rossi non sono. Qualcuno più forbito di me, uno di quelli che i colori te li snocciolano in nuances, direbbe che il pelo del gatto è “rosso ramato intenso” solo perché fa fico. Per conto mio è arancione. Punto.
Il gestore, simpatico come una gatta di marmo, si è chiuso nel chiosco a trafficare. Dalle casse del suo stereo riecheggia la voce di Gilberto Santa Rosa. E a me vien quasi voglia di ballare. Anche il suono si veste di colori. È caldo. È avvolgente. È arancione pure quello. Magari con qualche spruzzata di giallo, giusto perché dentro alla canzone ci son le stelle. Il ritmo oltrepassa le mie membrane timpaniche e arriva alla mia pancia, è una impalpabile scia arancione lievemente stirata di giallo che mi attraversa e mi scalda.
Lo so, non si direbbe che io sia ancora sobria, e invece. Ho ordinato un pirlo, sì. Con aperol, arancione pure quello. Ma avrò buttato giù sì e no due sorsi, finora. Mai capito manco questa io. Perché il resto del mondo il pirlo lo chiami spritz. Il pirlo è il pirlo e a me fa sempre un po’ senso quando devo cambiargli nome per ordinarlo in un’altra città. E poi un pirlo fatto bene, è una gran cosa. Ti salva la vita.
Ci pensavo giusto l’altra sera. Uno, secondo me, per viver bene, davvero bene, senza star lì a farsi tante menate o a lamentarsi per la qualunque, per guardare le cose con quel pizzico di sano ottimismo che – se la fisica quantistica non mente – fa tanto bene alla legge d’attrazione e all’universo e alla vita stessa, per attraversare ogni giorno e ciò che esso comporta con il giusto spirito, dovrebbe farsi un pirlo. O almeno fingere di esserselo fatto e riprodurne lo spirito.
Il pirlo non ti offusca la mente (oddio, forse al quarto ne possiamo parlare…), ti da quel quid in più che ti serve per star meglio. Dopo un pirlo sei appena più simpatico, appena più audace, appena più determinato, appena più felice, appena più schietto e sincero. Appena più pirla, anche, volendo.
Un pirlo è il filtro perfetto attraverso il quale guardare alla vita. Ti consente non solo di vederla arancione (no, dico, dell’arancione in cromoterapia ne avete mai sentito parlare?), – un’altra delle tante cose che non capisco è perché un ottimista debba “veder tutto rosa”. Io, poi, il rosa lo detesto. – ma anche di vederla nel modo migliore. Con un sorriso e senza nubi. Il pirlo, insomma, ti ricorda della vita quale sia la più ovvia verità: che è bella. E che val sempre la pena di essere vissuta.
Mi alzo e vado al bancone del chiosco a pagare. Mentre cammino in direzione dell’uscita mi casca l’occhio su qualcosa di arancione che spunta da sotto la sedia del tavolino accanto al mio. È un largo elastico. Guardo meglio. È una fionda giocattolo. Qualche bambino deve averla persa quando è venuto qui al parco. Mi chino a raccoglierla con l’intenzione di portarla a Mr. Simpatia, che se mai il legittimo proprietario gliela andasse cercando, potrebbe restituirla, quando all’improvviso mi balena un pensiero e mi fermo. Guardo verso il chiosco. Il gestore, dopo aver preso i soldi, si è di nuovo rintanato a sistemare la dispensa sul retro e non mi vede. Mi chino di nuovo e seleziono accuratamente un sasso tra i tanti che formano la ghiaia sotto ai miei piedi. Poi poso la borsa sul primo tavolo che mi capita a tiro e impugno la fionda, mirando in direzione dell’albero. Carico, prendo la mira, lancio e centro in pieno un grosso caco maturo che esplode spandendo la sua polpa molliccia addosso al gatto, che fugge miagolando, meno sornione e molto più arancione di prima. Rido. Decido che la fionda me la tengo e me la infilo nella tasca del soprabito. Riprendo la mia borsa e torno verso casa.
insieme a un sacco di bella gente:
chi volesse saperne di più sul pirlo, può trovare notizie qui.
chi invece stesse pensando che la canzone mica l'ha capito se è tropicale o no, da quel poco che ne ho scritto, se la può serenamente ascoltare (e ballare, perché se riesce a star fermo è una gatta di marmo come il gestore del chiosco :-P) qui.