bilingual blog

this is a bilingual blog written by a single mom who is like many others but who somehow is also different :-)

domenica 15 dicembre 2013

dissolvenza in nero



Da quando lei aveva abbassato le luci ogni cosa attorno pareva aver perso il suo colore originale. Il mio portafogli poggiato sul piano lucido della scrivania, le mie scarpe rimaste a metà strada sulla moquette, come se fossero incerte se andare o restare. Forse persino più di me. Il cinturino del mio orologio, che mi ero volutamente tolto subito per non guardarlo. Io che di tempo non ne ho mai ero lì a rubare il tempo a un altro tempo per concedermi del tempo per vivere. Ammesso che esistano le sfumature di nero, in quella stanza c’erano tutte. Io, almeno, riuscivo a scorgerle ovunque.

Avevo saputo che lei era in città quasi per caso. L’avevo cercata dove alloggiava di solito, invano. Prima che la delusione mi afferrasse e mi inducesse a pensare che doveva andare così, mi ero connesso al wifi dell’aeroporto e avevo imbastito una ricerca alla cieca scegliendo una decina di hotel in base alla tipologia degli stessi e appuntandomene il numero di telefono in fretta a penna sul tovagliolo di carta che mi avevan dato poco prima insieme al caffè, nero e bollente, come piace a me. Avevo trascritto i numeri talmente in fretta che pareva dovessero partire da un momento all’altro anche loro, povere schegge di inchiostro nero in fuga. Poi li avevo chiamati, uno ad uno, chiedendo in reception di lei, con la voce ferma e sicura di chi sa quel che fa, che dentro tremavo dovevo saperlo solo io. Nei primi sei hotel, mi avevano detto, desolati ma non troppo, non risultava alcun ospite con quel nome. Prima che la signorina del settimo mi mettesse in comunicazione con la stanza 224 – era stata involontariamente così gentile da fornirmi quella preziosa informazione in più – avevo già riagganciato.

Quattro ore dopo, giusto quanto mi ci era voluto per il volo, l’atterraggio, il recupero del bagaglio e della mia auto e il tragitto per arrivare in città, bussavo alla porta della stanza 224, pregando che la signorina della reception mi avesse detto il numero giusto. O di aver capito bene io, che con la testa non c’ero proprio e, per complicarmi la vita, avevo persino parlato l’idioma locale, che detesto ma capisco. O almeno credo. «Room service»  avevo detto, subito dopo aver bussato, mentre nella mia testa faceva capolino l’idea che lei potesse tranquillamente essere ancora fuori, dopotutto eran da poco passate le nove. E invece la porta di lì a poco si aprì ed io venni investito dalla sua risata schietta e da due occhi felici, probabile specchio dei miei.

Ne era seguito un mix di incredulità gioia amore follia brividi parole mani che si stringono occhi che ridono labbra che si ritrovano. Poi lei si era quasi scusata: «Lo so. Non sembro abbastanza sorpresa. È che sì, non ti aspettavo. Ma, sai com’è, in fondo, io ti aspetto sempre… ». Poi, mentre io mi liberavo delle scarpe e del resto, si era addentrata nella stanza, aveva abbassato le luci, sprimacciato il cuscino, spostato il libro dal letto al comodino e sintonizzato il canale radio sul jazz.

Fu allora che scomparvero i colori, cedendo il passo a tutto quel nero. Fu come se una mano invisibile avesse calato una cappa su ogni oggetto scuro ma normalmente dotato di altri distinguo cromatici, ammantandolo e annerendolo come fa il fumo della candela, quasi che tutto volesse armonizzare con quel poco che di nero davvero c’era in quella stanza: i suoi capelli e la sua lingerie. O piuttosto con il nero che, travestitosi da voce a martellarmi nella testa i suoi lo sai che non dovresti essere qui, tentava a forza di insinuarsi dentro di me, quando io sapevo benissimo di non voler essere altrove.

Il cubetto di cioccolata che lei mi mise in bocca poco dopo, staccandolo dalla tavoletta poggiata sul comodino, fu inaspettatamente bianco. Aveva la stessa dolcezza e la stessa consistenza liscia e chiara della sua pelle, che a me, seppur goloso impenitente, risultava persino più attraente. Mi ci tuffai.

Capii mentre l’amavo il perché di tutto quel nero. I colori, tutti i colori del mondo erano dentro di lei, come se lei li avesse assorbiti, anche se non mi era affatto chiaro come ciò fosse potuto accadere. Forse li aveva mangiati, pensai. Aveva aperto quella sua magnifica bocca e li aveva inghiottiti, uno ad uno. Tutti, tranne il nero che doveva invece avere omesso dal suo pasto – non so dire se volutamente o per distrazione – dal momento che era rimasto fuori. Per una frazione di secondo immaginai il cameriere in livrea che avevo incrociato in corridoio – era da lui che avevo preso l’idea di annunciarmi come room service – che, solo qualche ora prima, le porgeva su di un enorme vassoio d’argento una tavolozza di colori e le serviva la cena nel salone ristorante. L’immagine scomparve in un lampo, così com’era venuta. Lasciai che i suoi seni e la sua pelle le si sovrapponessero e mi riportassero al presente.

Poco dopo toccò a me riempirmi di colori. Il nero, ancora una volta, rimase fuori. Quello che aveva tentato di insinuarsi dentro era sparito nell’istante in cui lei mi aveva baciato, mettendo a tacere tutte le voci dentro la mia testa. No, davvero non volevo essere altrove. Semmai era lei il mio altrove. E ora che, mentre l’amavo, potevo viverla e fondermi con lei, sentivo il cuore e la vita e tutti i colori che lei mi regalava (o forse erano i miei che non sapevo più di avere e lei mi aveva soltanto aiutato a ritrovarli) pulsarmi dentro all’unisono, coautori di una sinfonia non scritta. Pensai ad alcune tele di Jason Pollock, imbrattate di schizzi di pittura policroma, e immaginai che la mia anima fosse diventata molto simile ad un suo quadro e poi, di nuovo, non volli pensare più a niente.

Più tardi, mentre mi rivestivo e mi accingevo a lasciare quella stanza – cercando di non pensare al dolore che comportava la sola idea di dover lasciare anche lei e di focalizzarmi su quanto ero stato bene – mi accorsi che gli oggetti intorno a noi erano divenuti ancora più cupi, prede silenziose della mano invisibile e del suo manto nero deputato ad avvolgerli. Persino il cinturino del mio orologio mi parve non aver più ripreso il suo colore originario, nemmeno dopo che lo ebbi rindossato.

Il bacio con cui mi congedai da lei quella sera è il mio ultimo ricordo a colori. Da che mi son lasciato quella porta alle spalle, per dissolvenza, tutto nella mia vita si è tinto di nero. E io, da allora, brancolo nel buio.

questo racconto partecipa (ma anche no) all'
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martedì 3 dicembre 2013

calendario dell'avvento fai da te 2.0 - DIY advent calendar 2.0

a cosa servono due giorni a casa non preventivati, oltre che a tentare di sgominare febbre e virus malefici? a fare lavoretti. e trovare il tempo - anche se giusto un filo in ritardo sulla tabella di marcia - per un progetto rimasto nel cassetto anche troppo a lungo.

adoro i calendari dell'avvento. due anni fa ci eravamo limitati ai sacchettini di riciclo. da allora ho sempre cercato qualcosa di esteticamente più gradevole e, soprattutto, di più comodo da maneggiare per un bambino. gira che ti rigira (pintrest santo subito!) mi sono imbattuta in questo blog e non ho più avuto dubbi.

per la mia versione ho stampato la sagoma delle scatoline su cartoncino, sull'altro lato del quale ho invece stampato una carta natalizia che mi piaceva. poi mi sono munita di forbici, cutter, righello, colla e di quell'attrezzino di legno che serve per il cartonage e aiuta a creare le pieghe nel cartone. ed ho finalmente riesumato dal mio armadio del craft i numeri di feltro per il calendario dell'avvento che avevo comprato in fiera secoli fa.

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how can you use two not budgeted days at home trying to win fever and an evil virus? doing craft . and finding time - even if just a bit late on the roadmap - for a project which had remained in the drawer too long .

I love advent calendars . two years ago we used recycled bags. since then I've been looking for something more aesthetically pleasing , and most importantly , more comfortable to handle for a child. turning  around in the net ( Pintrest for president! ) I came across this blog and I no longer had any doubts .

for my version I printed the outline of the boxes on thick paper, on the other side of which I had instead printed a Christmas motive that I liked. I then prepared scissors, cutter, ruler, glue and that wooden thing serving for cartonage which helps creating the folds in the cardboard. and I finally dug up from my closet some felt numbers for the advent calendar I had bought at the fair centuries ago.

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ho poi deciso di fare diversa la scatolina per il 25, che è diventata rossa con sopra gli stessi motivi delle altre scatole. e voilà. adesso dobbiamo solo aspettare di esser guariti, così gli elfi di babbo natale possono venire a riempire il calendario. che con noi in casa, giustamente, mica si fanno vedere eheheh...

I then decided to do a different box for the 25th, which is red and has the same subjects of the other boxes. and voila. now we are just waiting to be healthy, so that Santa Claus' elves can come to fill up the calendar boxes. since with us two in the house, quite rightly, they are surely not going to show up ...

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domenica 10 novembre 2013

quelli degli EDS - EDS people

prendete un gruppetto di pazzi a cui piace scrivere e che, allo scopo, si aprono un blog (ma alcuni anche no). prendete una spingitrice di pazzi più pazza di loro che si apre un blog per spingere i bloggers a scrivere. prendete gli EDS, Esercizi Di Scrittura della suddetta e fateli diventare una sana abitudine, nonché un punto d'incontro virtuale per i pazzi blogger di cui sopra. prendete gli EDS e la pazza spingitrice e fatene un libro. prendete un errore di stampa in quarta di copertina volutamente mai più corretto e invece che dei blogger avrete persino bei blogger. e poi prendete una casa in centro a milano (splendida!), una padrona di casa di classe e di cuore, mettete la spingitrice alla testa del binario 10 ad aspettare con una teglia di lasagne e fate arrivare svariati treni dalle direzioni più disparate, da cui far scendere alcuni dei bei blogger di cui sopra muniti di cibo e vino sufficienti per sfamare un reggimento provato da una lunga carestia e saprete tutto ciò che avete bisogno di sapere in merito alla giornata odierna.

le parole, le risate, le emozioni non ve le racconto. me le tengo per me. vi mostro la casa, quella sì. vista  attraverso i miei occhi e e ri-vista attraverso il mio editor di foto.

ps: abbiamo mangiato talmente 'poco' che l'acronimo EDS è già stato ribattezzato Eventualmente Digeriremo Sabato.

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take a bunch of crazy people who like to write and who, on this purpose, opened a blog ( but some of them did not) . take a crazy people's pusher who is even crazier than them and who opens a blog to push bloggers to write. take the crazy pusher's EDS, the italian acronym for Writing Exercises and let them become a healthy habit as well as a virtual meeting point for the insane bloggers mentioned above. take both the EDS and the crazy pusher and make a book out of it. take a printing error on the back cover which hasn't then deliberately been corrected and instead of some bloggers you'll have beautiful bloggers. and then take a (gorgeous!) flat in the center of milan, a hostess with class and heart, put the pusher at the top of track 10 to wait with a pan of lasagna and let several trains arrive from different directions, let come down from those trains some of the beautiful bloggers with wine and food sufficient to feed a regiment tested by a long famine, and you will know everything you need to about today.

I'm not revelaing the words, the laughters and the emotions. I prefer to keep them for me. I'm going to show you the flat, instead. view through my eyes and
and re- view through my photo editor.

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giovedì 7 novembre 2013

in pirlo veritas

© singlemamafranny - all rights reserved
Son qui, seduta al tavolino del chiosco del parco comunale. Il gestore, sebbene sia autunno inoltrato, vista la stagione mite e accondiscendente, ha deciso di correre il rischio di prolungare l’apertura per due gatti e tentare di far magari quattro soldi. Oltre a me e lui, però, non c’è anima viva. Oddio, per la verità un gatto c’è. Se ne sta lì bello sornione, mollemente svaccato sul muro di cinta, a sonnecchiare sotto la folta chioma di una pianta carica di cachi. È rosso di pelo, il gatto. Rosso si fa per dire. È arancione. Ecco, ora che ci penso, me la son sempre chiesta ‘sta cosa, io. Come mai del pelo e dei capelli si dica che son rossi quando, il più delle volte, rossi non sono. Qualcuno più forbito di me, uno di quelli che i colori te li snocciolano in nuances, direbbe che il pelo del gatto è “rosso ramato intenso” solo perché fa fico. Per conto mio è arancione. Punto.

Il gestore, simpatico come una gatta di marmo, si è chiuso nel chiosco a trafficare. Dalle casse del suo stereo riecheggia la voce di Gilberto Santa Rosa. E a me vien quasi voglia di ballare. Anche il suono si veste di colori. È caldo. È avvolgente. È arancione pure quello. Magari con qualche spruzzata di giallo, giusto perché dentro alla canzone ci son le stelle. Il ritmo oltrepassa le mie membrane timpaniche e arriva alla mia pancia, è una impalpabile scia arancione lievemente stirata di giallo che mi attraversa e mi scalda.

Lo so, non si direbbe che io sia ancora sobria, e invece. Ho ordinato un pirlo, sì. Con aperol, arancione pure quello. Ma avrò buttato giù sì e no due sorsi, finora. Mai capito manco questa io. Perché il resto del mondo il pirlo lo chiami spritz. Il pirlo è il pirlo e a me fa sempre un po’ senso quando devo cambiargli nome per ordinarlo in un’altra città. E poi un pirlo fatto bene, è una gran cosa. Ti salva la vita.

Ci pensavo giusto l’altra sera. Uno, secondo me, per viver bene, davvero bene, senza star lì a farsi tante menate o a lamentarsi per la qualunque, per guardare le cose con quel pizzico di sano ottimismo che – se la fisica quantistica non mente – fa tanto bene alla legge d’attrazione e all’universo e alla vita stessa, per attraversare ogni giorno e ciò che esso comporta con il giusto spirito, dovrebbe farsi un pirlo. O almeno fingere di esserselo fatto e riprodurne lo spirito.

Il pirlo non ti offusca la mente (oddio, forse al quarto ne possiamo parlare…), ti da quel quid in più che ti serve per star meglio. Dopo un pirlo sei appena più simpatico, appena più audace, appena più determinato, appena più felice, appena più schietto e sincero. Appena più pirla, anche, volendo.

Un pirlo è il filtro perfetto attraverso il quale guardare alla vita. Ti consente non solo di vederla arancione (no, dico, dell’arancione in cromoterapia ne avete mai sentito parlare?), – un’altra delle tante cose che non capisco è perché un ottimista debba “veder tutto rosa”. Io, poi, il rosa lo detesto. – ma anche di vederla nel modo migliore. Con un sorriso e senza nubi. Il pirlo, insomma, ti ricorda della vita quale sia la più ovvia verità: che è bella. E che val sempre la pena di essere vissuta.

Mi alzo e vado al bancone del chiosco a pagare. Mentre cammino in direzione dell’uscita mi casca l’occhio su qualcosa di arancione che spunta da sotto la sedia del tavolino accanto al mio. È un largo elastico. Guardo meglio. È una fionda giocattolo. Qualche bambino deve averla persa quando è venuto qui al parco. Mi chino a raccoglierla con l’intenzione di portarla a Mr. Simpatia, che se mai il legittimo proprietario gliela andasse cercando, potrebbe restituirla, quando all’improvviso mi balena un pensiero e mi fermo. Guardo verso il chiosco. Il gestore, dopo aver preso i soldi, si è di nuovo rintanato a sistemare la dispensa sul retro e non mi vede. Mi chino di nuovo e seleziono accuratamente un sasso tra i tanti che formano la ghiaia sotto ai miei piedi. Poi poso la borsa sul primo tavolo che mi capita a tiro e impugno la fionda, mirando in direzione dell’albero.  Carico, prendo la mira, lancio e centro in pieno un grosso caco maturo che esplode spandendo la sua polpa molliccia addosso al gatto, che fugge miagolando, meno sornione e molto più arancione di prima. Rido. Decido che la fionda me la tengo e me la infilo nella tasca del soprabito. Riprendo la mia borsa e torno verso casa. 

questo racconto partecipa all'EDS del grande cocomero de la Donna Camèl

chi volesse saperne di più sul pirlo, può trovare notizie qui.

chi invece stesse pensando che la canzone mica l'ha capito se è tropicale o no, da quel poco che ne ho scritto, se la può serenamente ascoltare (e ballare, perché se riesce a star fermo è una gatta di marmo come il gestore del chiosco :-P) qui.