È domenica mattina (si è svegliato già il mercato, direbbe Baglioni) e come tutte le domeniche mia madre mi ha tirato giù dal letto di buon’ora per mandarmi a messa. A me ‘sta cosa fa un po’ imbestialire, primo perché vorrei dormire, e di brutto. Secondo perché non capisco per quale motivo i miei a messa non ci vengano mai e ci spediscano soltanto me. Devo ammettere che potrei in effetti, volendo, dormire un’ora in più e andare alla messa delle 11.30 anziché a quella delle 10. Solo che tra il dormire un’ora di meno e la messa delle 11.30, il male minore è perdere il sonno. La messa delle 11.30 è uno strazio, ci vanno solo i vecchietti, la predica è eterna e i canti sono delle nenie. Almeno a quella delle 10 c’è il coro dei ragazzi con la chitarra, la predica dura quel tanto che basta e poi, se mi va bene, vedo Filippo. Fatto sta che mi alzo controvoglia, mi lavo la faccia e i denti, mi vesto e mi sistemo un po’ e poi esco per andare a suonare ad Angelica, che viene sempre a messa con me. Mal comune, mezzo gaudio, dicono. Anche se Angelica un filo più convinta di me lo è. Ma non ci vuole molto.
Arrivo di fronte a casa sua che lei si sta già chiudendo il portoncino alle spalle.
«ciao Selvaggia.»
«ciao Angi.»
Selvaggia non è un soprannome, mi chiamo davvero così. I miei sono riusciti a farmi battezzare per vie traverse dal secolare amico di famiglia (manco abbia vissuto tre vite e conosciuto i miei trisavoli), Padre Sabatti. Fosse stato per uno come Padre Alfredo, che storce il naso ogni volta che sente pronunciare il mio nome e ancora non si capacita di chi possa esser stato quell’eretico che mi ha battezzato davvero, mi chiamerei Genoveffa. O giù di lì.
«Che facciamo? Aspettiamo ancora un attimo? Tanto è presto…»
«Andiamo, va’. Che ad aspettar Filippo e i suoi, che magari poi vengono in macchina come domenica scorsa, finisce che arriviamo tardi noi. E Padre Alfredo annota tutto…»
Ci incamminiamo sul marciapiede in direzione della chiesa. È una calda mattina di aprile, il sole splende, gli uccellini cinguettano, e io cammino verso la messa decisamente malvolentieri. Che se manco vedo Filippo, allora tanto valeva davvero restare a dormire e sentirle su.
«Angi, tu credi che abbia senso tutto questo?»
«Tutto questo cosa, scusa?»
«Questo. Il fatto che io sia qui che cammino accanto a te in direzione della chiesa solo perché me l’hanno imposto… o perché l’idea di commetter peccato mi tormenta…»
«Guarda che sarei stata volentieri a dormire e peccare anch’io... »
«No, tu non puoi capire. Non vai a scuola dalle suore, tu. Voglio dire, tu puoi benissimo sapere che perder messa non rientra nei sette peccati capitali, eppure per Suor Clotilde lo è e non perde occasione per ricordartelo. Oltretutto quella donna ha una capacità di persuasione tale che finisci per crederci anche tu…»
«Pensi che senza Suor Clotilde io certe cose non me le senta dire lo stesso? Non hai sentito Padre Alfredo giovedì a dottrina?»
«Non c’ero giovedì a dottrina, ricordi? Ero a casa a studiare per la verifica di mate…»
« Chi non visita la casa del Padre commette un grande peccato! »
«Io visiterei più volentieri casa di Filippo. Lì sì che, almeno nelle intenzioni, il grande peccato lo commetterei davvero…»
«Scema…»
«A parte gli scherzi, Suor Clotilde va persino oltre. Lei dice che andare a messa senza prestare ascolto alla parola di Dio è come non andarci. Anzi, è persino peggio! In pratica pecchi due volte… io ci penso e ci ripenso, è più forte di me. E mi chiedo cosa ci faccio qui… E mi rimorde la coscienza di brutto. »
«Cosa ci fai qui? Posso ricordarti che ci dobbiamo cresimare il mese prossimo?... Oh Selvaggia, guarda. Filippo e i suoi stanno arrivando dal parcheggio…»
«Oh cavolo! E adesso che facciamo? Siamo praticamente davanti al portone? Con che scusa ci fermiamo qui fuori?»
«Niente scuse, tira dritto e entriamo. Punto.»
«Come entriamo? Deve entrare prima lui! Sennò io come lo scelgo il banco? Rischio di non vederlo e… lo so, lo so, se vado avanti così col piffero che Don Alfredo mi cresima a maggio… uff, va bene, entriamo…»
Prima di varcare il portone di legno mi volto e dò una veloce sbirciatina. Sì, stanno arrivando. Filippo indossa il maglione rosso che gli ho regalato al compleanno. Cioè, non è che proprio glielo abbia regalato IO, eravamo in gruppo. Ma io l’ho scelto, io lo sono andata a comprare e io gli ho dato il pacchetto alla festa. E poi sono talmente invasata che pensare che quello sia il MIO maglione mi pare il minimo che io possa fare. Per giunta il rosso gli sta benissimo e a me sembra che oggi sia persino più bello del solito. Fingendo totale indifferenza al suo arrivo, seguo Angelica all’interno della chiesa e mi accomodo al banco da lei prescelto, pregando (in chiesa si può ben pregare, no?) che Filippo scelga un posto dove posso vederlo…
Pochi istanti dopo siamo tutti seduti, la messa è iniziata e le mie preghiere sono state esaudite. I suoi hanno infilato dritti come fusi il banco di fronte al nostro. Sua mamma ci ha anche sorriso, e lui pure. Non siedono proprio di fronte a noi, siamo leggermente sfalsati. Io gioisco, non poteva andarmi meglio. Anche Angelica ha cercato di far commenti in proposito, ma l’ho zittita subito, che, vicini come siamo, finisce che ci sentono. E son rovinata. Oh là, son proprio contenta. Da qui ho una visuale perfetta. Vedo il maglione rosso e il suo viso di tre quarti. Certo, non posso mettermi a fissarlo duro, altrimenti con la coda dell’occhio mi sgama. Ma un’occhiatina ogni tanto mi riesce lanciarla senza problemi. E poi devo fingermi un minimo devota. Lui a quanto pare, a messa ci viene convinto, mica come me. E se mi tenesse d’occhio? Dalla posizione in cui si trova potrebbe farlo benissimo. Meglio che non sappia con che razza di peccatrice ha a che fare… Mentre penso a tutte queste cose, non ascolto una parola della messa e vedo volteggiare nell’aria cuoricini immaginari ma dello stesso punto di rosso del maglione, mi vedo già dentro al confessionale il prossimo giovedì:
«Padre, mi confessi, perché ho peccato...»
«Dimmi, figliUola…» Padre Alfredo quella U ce la mette sempre.
«Ho perso messa…»
«Ma come? E quando? Dall’ultima volta che ti ho assolto, io a messa ti ho sempre vista. Casomai potresti dirmi che hai perso dottrina, ma la messa mi par proprio di no...»
«Lei, Padre, ha visto solo il mio corpo. Il mio corpo era qui, ma io, in realtà, ero altrove… Pensi, per Suor Clotilde ho persino peccato doppio… »
No, non glielo posso dire. Qui davvero mi gioco la cresima…
Mi ripiglio dalle mie fantasie che siamo ormai giunti al momento cruciale: lo scambio del segno di pace! Quando Filippo ed io siamo seduti vicini, vado in fibrillazione mezz’ora prima solo perché devo dar la mano ai suoi ed anche a lui. E so già che le mie guance diventeranno rosse paonazze come il suo maglione, ma mica mi posso tirare indietro e non scambiar la pace! Con loro, poi! E allora, respiriamo profondamente e che pace sia.
«La pace del Signore sia sempre con voi.»
«E con il Tuo Spirito.»
«Scambiatevi un segno di pace.»
La prima a voltarsi è sua mamma. Ne intercetto la mano prima che lo faccia Angelica, che intanto si dedica a suo padre e a lui. Poi tocca a me dare la pace a suo padre, Filippo lo lascio sempre per ultimo, come una sorta di dulcis in fundo. Quando arriva il suo turno, mi allunga la mano, serio serio. Ma a me, che probabilmente ormai sono posseduta o poco ci manca, pare abbia gli occhi che ridono. Invece che col suo palmo, il mio entra in contatto con uno strano oggetto apparentemente di plastica e apparentemente più o meno quadrato. La sua mano spinge di proposito l’oggetto contro la mia ed io, che ormai vedo rosso (ma non è il maglione!), capisco che, qualunque cosa sia, devo tenerla, è qualcosa per me. Mi approprio dell’oggetto misterioso e, senza guardarlo, me lo infilo dentro la tasca dei jeans. Poco più tardi, mentre Angelica va a far la comunione con Filippo e tre quarti degli astanti, approfitto e lo estraggo dalla tasca per vedere cosa sia. È una galatina al latte. La mia caramella preferita! Potrei svenire per molto meno. E ho il cuore a mille. Lo cerco tra la folla, il rosso del maglione mi aiuta a identificarlo, si sta avvicinando a passo tranquillo, ma stranamente, sebbene si sia appena cibato del corpo di Cristo, non tiene gli occhi bassi come fanno le pie vecchiette devote. Guarda me dritta in faccia e sorride appena. Poi si siede, ma anche di spalle ho idea che stia sorridendo. Io a questo punto sono fuori di me e, poiché ho ormai perso qualsiasi speranza di ricordare anche solo una parola pronunciata nel corso di questa messa, prevedo che Suor Clotilde domani s’infurierà, ma me ne frego. Filippo mi ha regalato una galatina e io son troppo felice.
«La messa è finita, andate in pace.»
«Rendiamo grazie a Dio.»
Io rendo grazie anche un po’ a Filippo, se non ti dispiace, Dio.
Ci incrociamo per un istante sul sagrato, prima che loro si dirigano verso il parcheggio e giusto il tempo per un saluto fugace.
«Ciao Selvaggia, ci vediamo presto.»
«Ciao…»
E lì sento che le mie guance di nuovo avvampano facendo impallidire persino il maglione.
Poi Angelica ed io ci riavviamo verso casa. Lungo la strada lei parla, parla, parla, io ascolto sì e poi no. Ho la testa altrove, il cuore in volo e la mano nella tasca dei jeans stringe la galatina.
«Selvaggia, si può sapere che ti prende? Sei assente e taciturna… Non sei contenta che hai visto Filippo?»
«Scusa. È che sto pensando ancora a Suor Clotilde e alla faccenda di non seguire la messa anche se ci vai…»
Ecco, adesso ho anche mentito. Giovedì mi toccherà confessarmi, non ce n’è. Ho perso messa (anche se c’ero) e ho mentito alla mia migliore amica. Uff, di questo passo davvero non mi cresimerò mai…
questo racconto partecipa all'EDS rosso come il peccato de La Donna Camèl
insieme a :
- Melusina con Gloria mundi
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve
- Melusina con Red Velvet
- Hombre con Present continuous
- Angela con Pensiero stupendo - trilogia
- Gabriele con Cave cave deus videt
- Io Camèl con Vedo rosso
- Melusina con L'amore ai tempi dei nonni
- Pendolante con La confessione
- Melusina con Mille papaveri rossi
- Gabriele con Pesci bianchi, pesci rossi
- Michela con Apple
- Pendolante con Generazioni
- Lillina con Iago
- Cielo ccon il pantone, altro che rosso
- Calikanto con Tabarin
- Hombre con nove primi venerdì
- Melusina con I salami della Beppina
- Leuconoe con Sogno di un pomeriggio di mezzo autunno
- Il Pendolo con Il treno rivelatore
- Kernit il Rospo con Aspettando Geova
Brava! :-)
RispondiElimina:D e io che saltavo sempre messa andando a giocare ai videogiochi dentro i bar!
RispondiEliminaSai cosa mi piace piu' di tutto? Che sembra proprio scritto da una di terza media. Mi ricorda proprio quei tempi li', quanto una si emoziona per una caramella manco fosse un bacio o un invito a cena, o aspetta il suo innamorato platonico sulla via di scuola o alla fermata dell'autobus e si fa mille castelli in aria se lui la guarda (no, non posso capire tutta la parte del peccato, perche' sono stata fortunata e ho trovato dei preti piu' seri e meno bacchettoni, ai tempi, per quel poco che c'ho avuto a che fare ;-) ).
RispondiEliminaChe tenerezza, traspare, da questo racconto!
PS: cosa significa:"...e sentirle su"?
Ebbrava figliUola, mi ha smosso tutte delle robe che c'ho mille analogie colla vita mia.
RispondiEliminaScambiatevi una galatina al latte sarà il mio nuovo motto.
Ma che carino, questi peccati che da ragazzi ci sembravano enormi e anni dopo ci fanno sorridere :-)
RispondiEliminasorridere? se passi dal prete del paese mio te lo leva lui il sorriso. (ma io vado in trasferta, quando vado)
EliminaMi ricordo che quando ci preparavamo per la cresima (a dieci anni) avevamo paura dello schiaffo... in effetti allora non sorridevamo, ma adesso al ricordo sì, con tanta tenerezza :-)
EliminaBeh, piaciuto proprio un sacco. Fresco, sincero, realistico, e fa tenerezza.Vien voglia di dire: ma lasciateli crescere sereni sti ragazzini, che i peccati sono altri. Brava Fra'.
RispondiEliminaSai che mi hai fatto venire nostalgia di quei peccati così innocenti?
RispondiEliminaè come se fino a 13 anni fossimo cresciute tutte nella stessa parrocchia da nord a sud, mi sei piaciuta tanto ! kiss
RispondiEliminaQuanti ricordi, e quella galatina....
RispondiEliminaBello, mi hai fatto tornare tredicenne con tutti gli annessi e connessi
Da secoli la messa domenicale era l"'unico momento in cui uomini e donne potevano guardarsi. Si spiavano, si fissavano, si facevano promesse non verbali. Il tuo racconto è davvero realistico e suor Clotilde mi mette un po' paura
RispondiEliminaquesto commento, visto che blogger non me lo fa pubblicare, lo copincollo dalla mail e me lo metto da me :
RispondiEliminaMarco Carnazzo ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "la messa della domenica":
Non me ne vogliano gli altri: lo voto come miglior racconto dell'EDS.
Sembrava di essere lì e di avere tredici anni, anche per uno come me, che a messa ha smesso di andare a nove anni e che tredici anni, nella propria testa, non li ha avuti mai :)