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this is a bilingual blog written by a single mom who is like many others but who somehow is also different :-)

giovedì 3 ottobre 2013

NY Blues

Grazie al cielo la riunione coi francesi si era conclusa prima di quanto avesse previsto. Era persino riuscito ad inventarsi una scusa su due piedi per risparmiarsi di dover presenziare anche a cena. Ne aveva avuto abbastanza del loro inglese stentato, delle battute insipide alle quali, per buona creanza, era costretto a ridere, dei loro intercalari sommessi e dei pomposi aneddoti sul vino che, a sentir loro, al di fuori della Francia altro non era che mosto fermentato male. Aveva detto loro che quella sera, a casa, avrebbero avuto ospite un cugino dell’Oregon che, poveraccio, aveva appena perso la moglie. Era davvero mortificato, ma doveva proprio andare. E, infatti, se ne andò.

Decise, una volta lasciato l’ufficio, di fare due passi. Aveva assoluto bisogno di snebbiarsi il cervello e di una buona dose di aria fresca, prima di rientrare in quella che, ormai, più che una casa gli pareva una prigione. Immaginava già l’espressione vuota e schifata di suo figlio seduto a tavola di fronte a lui e la cortesia forzata di Ellen, che avrebbe come sempre simulato un che di interesse per la giornata lavorativa del consorte e, con quattro frasi buttate lì a casaccio, avrebbe tentato – peraltro invano – di intavolare una conversazione che durasse più di nove minuti, il loro tempo standard, ormai.

Il sole era già tramontato da un pezzo e il colore del cielo stava lentamente virando al blu intenso che precede il nero della notte e, specchiandosi nelle acque dell’Hudson, tingeva di riflesso e di mille sfumature le luci, il ponte e le facciate dei grattacieli tutto attorno. Sebbene fosse molto stanco, a Eric non sfuggiva nulla. Anzi, mentre camminava in direzione della riva del fiume, gli pareva che tutto quel blu avvolgesse anche lui, fuori e dentro, fino a raggiungere suoi più remoti pensieri. Di quando in quando, alzava lo sguardo al cielo, sperando di scorgere la luna.

Era sul punto di attraversare quando, dal finestrino abbassato del taxi fermo al semaforo accanto a lui, gli giunsero all’orecchio quelle note. E da lì, per direttissima, scesero giù, in profondità, passandogli al centro del cuore e attraverso lo stomaco per poi spingersi ancora più giù, fino a toccargli le viscere.

Blue moon
You know jut what i was there for
You heard me saying a prayer for
Someone I really could care for 

«Kate». Gli ci volle meno di una frazione di secondo perché quel nome riaffiorasse piano alle sue labbra. Quando la strada fu libera, raggiunse la panchina sull’argine del fiume, in quel punto preciso di New York che persino chi non c’è mai stato conosce come le sue tasche, tante sono le volte che è stato inquadrato nei film. Il blu intorno si andava pian piano scurendo, senza smettere di lasciare la sua scia sopra le cose. E, Eric ormai ne era certo, dopo aver sentito quella canzone, anche dentro di lui.

Quanto tempo era passato? Non ne aveva idea. O meglio, l’aveva, ma non ci voleva pensare. Preferiva fingere che fosse un vago “anni” che si rifiutava ostinatamente di contare. Era stato in un giorno di fine estate. Central Park brulicava di gente: turisti, famiglie coi passeggini, gli inarrestabili joggers in cerca di aria pura, cani al guinzaglio, monopattini e skateboard. E loro, incuranti del fatto che chiunque avrebbe potuto vederli, avevano noleggiato una barchetta sul lago e si erano spinti a remi fin sotto alle fronde di un salice, a mangiare sandwich, bere birra dalla stessa bottiglia, leggere poesie e ridere, parlare, baciarsi, parlare, parlare e ancora ridere.

Più tardi lui l’aveva accompagnata in albergo. Kate in quell’occasione aveva preso una junior suite al ventottesimo piano di un famoso hotel a cinque stelle. Lui le aveva detto che era pazza, lei aveva riso come solo lei sapeva ridere e gli aveva risposto semplicemente: «e quando mi ricapita?».

Ci erano andati insieme, nella suite. E avevano fatto l’amore tutto il pomeriggio e poi tutta la notte. Come se l’amore davvero non l’avessero fatto mai, né tra loro, né con nessun altro. In quel mutuo scoprirsi e riconoscersi, si erano persi e ritrovati l’uno dentro l’altra e si erano tacitamente giurati se non proprio amore eterno, qualcosa che ci andava molto vicino. Attraverso le vetrate, il cielo faceva da coperta blu ai loro corpi nudi e la luna, ormai quasi piena, illuminava a sufficienza perché potessero guardarsi negli occhi senza che dovessero guastare la notte con altre luci. Era stato allora che Kate, col viso posato alla sua spalla e gli occhi ridenti di chi almeno una volta nella vita è davvero felice, si era messa a canticchiare.

Blue Moon
Now I'm no longer alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own 

Poi si era voltata verso la luna. «Sai perché ho voluto la suite? Volevo vedere la luna con te. In questa città è quasi sempre nascosta. E invece qui è talmente vicina che sembra di poterla toccare. Guardala, Eric. Guardala con me. La vedi? È quasi blu, come nella canzone.»

Seduto sulla panchina lungo l’Hudson e con la testa fra le mani, Eric fissava lo specchio d’acqua di fronte a lui, schermo liquido su cui la memoria aveva deciso di mandare in onda, anche quella sera e per l’ennesima volta, il film dei suoi ricordi.

Il giorno seguente l’aveva accompagnata all’aeroporto. Se avesse potuto, non l’avrebbe lasciata partire. Ma non ne aveva la forza. Lei, poi, gli pareva tranquilla. Come se non le dispiacesse affatto andar via. E quella sua tranquillità faceva a pugni con il dolore sordo e acuto che invece lui sentiva forte, piantato in mezzo al petto. L’ultima immagine che ricordava era la figura di Kate, stretta dentro ad un abito estivo blu carta da zucchero che, al di là della sbarra del controllo passaporti, gli sorrideva. «E non fare quella faccia, dai, che torno presto!».

Invece, non l’aveva vista più. Non si era mai più sentito davvero vivo, non aveva mai più smesso di cercarla in ogni donna, in ogni sguardo, nelle sfumature dei blu e nelle risate. Lui ridere, poi, non aveva riso più. E quel che era peggio, non aveva mai più smesso di provare quel dolore lancinante in mezzo al petto ogni volta che pensava a lei.

Il blu intenso del cielo si era ormai dileguato cedendo il passo alla notte. Le facciate dei grattacieli scintillavano argentee sull’acqua e si riflettevano tutto attorno, mischiandosi alle altre luci della città. L’aria si era fatta secca e quasi pungente. Fu un brivido a scuotere Eric e strapparlo ai suoi ricordi, riportandolo al presente. Col cuore pesante di sempre, fece un respiro profondo, raccolse le forze e si alzò. Si avviò a passo lento in direzione del parcheggio dell’ufficio, dove aveva lasciato la sua auto al mattino. A Ellen avrebbe detto di essersi dovuto fermare coi francesi, sempre che lei fosse stata ancora alzata ad aspettarlo, ma ne dubitava. Camminando, guardava verso l’alto, in cerca di spiragli di cielo incuneati tra i grattacieli. Sperava tanto di vedere la luna. Era assolutamente certo che anche quella sera fosse blu. Come il suo cuore. E come nella canzone.

Blue Moon
You saw me standing alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own 

lunedì 30 settembre 2013

quelli degli EDS : e libro fu.

© singlemamafranny - all rights reserved

la prima parola che ho scritto è stata ‘fine’ sull’ultima pagina di un quaderno vuoto. avevo 3 anni e per problemi di vista avevo dovuto imparare già allora a leggere almeno le lettere in stampatello maiuscolo che gli oculisti usano per determinare quante diottrie abbiano i loro pazienti.
poi è arrivata la scuola, con l’alfabeto intero. e da allora, io di scrivere, almeno nell’accezione n. 2 del termine, non ho mai smesso. e quando, parecchi anni più tardi, appassionata di tecnologia, ho scoperto l’esistenza dei blog, non ho saputo resistere.

che i legami nella blogosfera avessero ben poco di virtuale l’ho scoperto presto, poco dopo aver aperto il mio primo blog. ma è stato solo dopo essere approdata qui, su una piattaforma più aperta e più varia rispetto alla precedente, che gli incontri si sono intensificati e gli orizzonti si sono allargati. è da qui che ho scoperto che nella blogosfera, oltre alle mammeblogger, a quelle creative, alle ricette di cucina, le autoproduzioni e i più svariati cazzeggi (perdonate il neologismo, ma non trovo un termine migliore per render l’idea), nascosti ma non troppo – così alla fine, per fortuna, li ho scovati anch’io – c’erano loro: quelli degli EDS. quelli che scrivono. ci provano. ci riescono. e insieme a loro, lei, la spingitrice.

ora, mettete insieme la spingitrice di cui sopra e quelli lì, quelli degli EDS, appunto. scegliete un tema accattivante tra tutti gli EDS da lei proposti, chessò: i cinque sensi. facciamo sei. e pensate ad gruppo di pazzi determinati che, nel corso di un weekend e per mezzo di un centinaio di email, democraticamente, si consulta. che c’è da scegliere un titolo. e una copertina (possibilmente senza cadavere). e da presentarsi in poche righe, anche (osti).

e libro fu.

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no, che cosa sono gli EDS, se non lo sapete già, non ve lo dico. il libro è in vendita (anche in formato ebook!). scopritelo da voi.


nota: il mio unico rammarico è di esser stata pigra e aver partecipato poco. ma su quello, semmai, farò i conti con me stessa. intanto per me esser tra loro, fra tanto entusiasmo e tante pagine belle è davvero un onore. e poi, del resto, siamo solo agli inizi. mi rifarò.

 

domenica 29 settembre 2013

la mia conversione - my conversion

no, non sto parlando di conversione religiosa, per quanto il nuovo papa mi piaccia assai assai e potrei persino pensare di riconsiderare il cattolicesimo. la mia conversione è molto più terra terra e riguarda il cibo.

no, I'm not talking about religious conversion, even if I like our new pope very much and I coud even think of reconsidering catholicism. my conversion is practical and has to do with food.

la blogosfera pullula di gente convertitasi alla pasta madre. io sono sempre stata scettica al riguardo, in parte per la lunga e laboriosa gestazione richiesta dalla stessa, ma soprattutto, perché ho sempre pensato che mi avrebbe portato ad aumentare in maniera esponenziale il consumo di prodotti a base di glutine. e il glutine di frumento, il mio gruppo sanguigno e l'ago della mia bilancia non sono esattamente amiconi. anzi. proprio in considerazione di questi fattori, ho da tempo iniziato a ridurne il consumo al minimo e a sostituirlo con cereali privi di glutine (miglio, quinoa, riso) o nei quali lo stesso sia presente in misura ridotta (farro).

the blogosphere is full of people who converted to sourdough. I've always been skeptical about this, partly because of the long and difficult making of required by the same, but more importantly, because I always thought that it would have led me to an exponential increase in the use of products containing gluten. and wheat gluten, my blood type and the needle of my scale are not exactly buddies. indeed. precisely in view of these factors, I have long since begun to reduce its consumption to a minimum and to replace it with gluten-free cereals (millet, quinoa, rice) or in which gluten is present to a lesser extent (spelt).

un paio di settimane fa ho scoperto un metodo rapido e indolore per produrre la pasta madre di farro partendo dal lievito madre di farro disidratato che avevo in casa. ho perciò dato vita al mio lievito madre. mi dicono che alla pasta madre venga solitamente dato un nome. siccome io nella scelta dei nomi sono monotona, mi astengo e lo chiamo semplicemente la creatura. 

a couple of weeks ago I discovered a quick and painless method to produce spelt sourdough starting from that dehydrated sourdough spelt I had at home. I therefore started my own sourdough. I am told that each sourdough starter is usually given a name. since in the choice of names I am monotonous, I avoid it and simply call it  the creature. 

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e con i restanti 20 grammi di lievito disidratato della bustina ho seguito pedestremente il consiglio di chi aveva postato la ricetta ed ho prodotto dei panini di farro ai semi di zucca davvero ottimi.

with the remaining 20 grams of dried yeast I slavishly followed the advice of those who had posted the initial recipe and I produced some spelt rolls with pumpkin seeds which tasted really good.

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dopo aver fallito miseramente il tentativo di fare dei crackers al primo rinfresco, durante la settimana, venerdì mi sono data al secondo rinfresco e ho impastato il mio primo vero pane di farro con lievito madre. ho lasciato l'impasto al chiuso in lievitazione tutta la notte e la mattina ho dato forma ai panini che hanno poi nuovamente lievitato dento il forno spento e chiuso per almeno altre tre ore. dopodiché li ho spennellati con un po' d'acqua, ne ho cosparsi metà con semi di zucca e metà con semi di sesamo e li ho cotti per una ventina di minuti in forno preriscaldato a 200°C. data la mia conversione di cui sopra, ritengo superfluo dire che erano ottimi. 

after having miserably failed an attempt to make some crackers on the occasion of its first refresh during the week, on Friday I made the second refresh and mixed my first real sourdough spelt bread . I left the dough to rise inside a closed bowl throughout the night and in the morning I gave shape to some rolls that have then been left to rise again inside the switched off oven for at least another three hours. after that I brushed them with a little water, I sprinkled half of them with pumpkin seeds and the other half with sesame seeds and baked them all for about twenty minutes in a preheated oven at 200 ° C. given my above mentioned conversion , I consider it unnecessary to say that they were great.

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giovedì 26 settembre 2013

soundtrack of my life 1977

estate. la mia famiglia. isola di capraia. il barbarossa, la nostra barca a vela, stranamente ormeggiata in prima fila. i gabbiani sul molo. gli amici. e i figli degli amici. niki, riccioli biondi, occhi ridenti e lentiggini (che per anni han fatto capolino da una tazza di orzoro sui barattoli). e un bar, quello della darsena, poco distante, dove andavamo a giocare lunghe e interminabili partite a bigliardino (ma voi, se preferite, chiamatelo calciobalilla). e c'era sempre in sottofondo questa canzone.



 
partecipo con questo post alla rubrica settimanale indetta da Attimi di Letizia

sabato 21 settembre 2013

in punta di dita


le tue mani così, all'improvviso, 
si sono fatte strada
fuori e dentro di me.
zucchero sugar fornaciari

Me ne stavo lì, in quello spazio piccolo, con te. Incredula. Che tu fossi lì. E che io avessi detto quel che avevo appena detto. E fatto quel che avevo appena fatto. Quanti minuti ci avrà messo l’ascensore per fare cinque piani? Non lo so dire. E poi, del resto, il tempo con te scivola via sempre troppo in fretta. La porta si è aperta e, uno alla volta, siamo usciti, lasciando che si richiudesse alle nostre spalle. Dalla vetrata della spa la luce di uno dei primi giorni di sole che questa estate abbia visto faceva capolino sui vecchi coppi dei tetti bruni di Innsbruck. Mi sono diretta verso il corridoio, senza voltarmi, tenendomi stretti i miei pensieri felici e confusi, accompagnati in sottofondo dal rumore attutito dei miei passi mescolati ai tuoi. Sentivo il tuo sguardo chiaro sulla schiena e temevo potesse vedermi dentro. Le luci automatiche incastonate sul soffitto si accendevano di pari passo col nostro incedere, illuminando il lungo tappeto rosso, che quasi a voler celebrare il nostro incontro a mo’ di red carpet, ci indicava la via. Luci, tappeto, porte uguali e anonime ci sfilavano accanto, nel silenzio. Poi, d’un tratto, mi hai preso la mano. Un tocco lieve e deciso al tempo stesso, quasi in punta di dita. E, con un brivido, mi hai riconnesso all’universo, hai cancellato dubbi e portato conferme. E sono sparite luci, tappeto, pareti, coppi bruni, muri e città. Il mondo intero ha perso consistenza, dissolvendosi come fosse stato una bolla. Per una manciata di secondi, siamo svaniti persino tu ed io. Sono rimaste solo le tue dita che, aprendosi piano un varco attraverso la mia pelle, hanno raggiunto e sfiorato angoli remoti di me. E poi hanno eluso i confini e son riuscite ad arrivare oltre. Al di là del sesso. Dei sogni. Delle aspettative. E a riportarmi a me stessa, per potermi poi condurre esattamente dove dovevo essere. Da te.

scritto ahimé fuori tempo massimo per potervi partecipare
ma perché forse comunque andava scritto. 

giovedì 12 settembre 2013

c'è sempre una prima volta - there's always a first time

c'era una volta una blogger che scriveva, scriveva, raccontava di sé e della sua nuova vita da mamma single. e faceva foto. e leggeva i blog di chi la commentava. insomma, aveva una vita da blogger come si deve, invece di quella da blogger in disuso che conduce adesso...

once upon a time there was a blogger who used to write and write and to tell readers about her new life as a single mom. and she used to take pics. and to read the blogs of the people who left comments on her pages. she had a blogger life indeed, very different from the one she has nowadays as disused blogger...

grazie al cielo, le foto le fa ancora. almeno, se si ritrova a pensare in una sera di fine estate quasi autunno 'acciderbolina, ma oggi è stato un giorno storico, da commemorare. credo dovrei scriverne...' e a riaprire il blog dopo secoli senza saper bene esattamente cosa scrivere, almeno le foto le ha.

thanks god she keeps taking pics. at least, if she finds herself on a late summer almost already autumn evening thinking "damn, today was a memorable day. maybe I should write about it...' and reopening her blog after ages without even knowing what to write, she's got her pics.

© singlemamafranny - all rights reserved
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ebbene sì, è arrivato anche per lui il fatidico primo giorno di scuola. è felicissimo. è stato il primo a varcare il cancello, tenendo per mano il suo amico. mi ha già chiesto come mai non si vada a scuola di domenica e si è lamentato perché oggi, in tre ore, non ha ancora imparato a scrivere in corsivo. speriamo che duri.

so here we go. his first day at school has arrived. he is outrageously happy. he was the first - hand in hand with his friend - to cross the school gate. he has already asked me why he can't go to school on sundays and has complained because today, in three hours lesson, he hasn' leart to write in longhand. I hope all this will last.

c'è sempre una prima volta. oggi ne ho avuta una anch'io, mentre aspettavo di andare a riprendere l'ometto a scuola. la prima volta di questa ricetta, da me rielaborata come segue:

Dolcetti con 2 ingredienti


ingredienti:
4 banane molto mature
2 tazze di fiocchi di riso integrale

upgrade: gherigli di noce

preparazione:
preriscaldare il forno a 180°C, schiacciare le banane con una forchetta e farne una purea, aggiungere un paio di tazze di fiocchi di riso integrale, amalgamare, aggiungere qualche gheriglio di noce solo perché andate pazzi per il connubio noce-banana, disporre sulla leccarda ricoperta di carta forno (se non volete smadonnare a pulirla, dopo), infornare per circa 20', far raffreddare (se ci riuscite) e assaggiare ed evitare nel corso della giornata di finirli tutti che avete promesso alle colleghe di farglieli assaggiare domani.

la mia prima ricetta senza glutine e vegana che sia anche davvero buona da mangiare! :-) 

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there's always a first time. I had my first time too, today, while I was waiting to pick up my little boy from school. my first time for this recipe, which I have changed as follows:

2 ingredients cookies

ingredients:
4 very ripe bananas
2 cups of whole rice flakes

upgrade: nuts

preparation:
preheat the oven to 180°C, squash bananas with a fork and make a mash tun out of them, add a couple of cups of whole rice flakes, stir and mix, add some nuts just because you go mad about the nuts-bananas bond, place on the dripping pan covered with baking paper (just in case you don't want to curse when you clean it afterwards), bake for about 20 minutes, (try to) let cool, taste and avoid eating them all especially if you've promised you'll bring some cookies to the office on the next day.

my first gluten free and vegan recipe which also tastes good! :-)

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